sabato 25 dicembre 2010

Roots

Quali sono le mie radici?
Queste qui, ben piantate nell'Emilia, direbbe un osservatore distratto.
Sei nato e cresciuto qua, parli con quest'accento dalle "e" belle chiuse, dalle "s" sibilanti e dalle "z" affilate.
E mangi i salumi, i turtleìn, gnocco e tigelle e tutti quegli accrocchi zuppi di colesterolo malvagio.
Senza contare che la pianura ti accompagna da una vita, la nebbia e l'umido d'inverno, l'afa schifosa d'estate e i circoli anziani e le polisportive e l'associazionismo e la coop e il partito e l'arci e la bicicletta che adesso è un sogno perché ti sposti solo in macchina come una trottola tra la via Emilia e il west.
Detta così, allora, non ci sarebbero dubbi.
Però, non è proprio così.
Perché il mio genitore maschio è calabro, nato anche se poco cresciuto tra l'Aspromonte, il Tirreno e lo Jonio. E poi ci sono tutti i parenti e affini che pure loro provengono dalla Magna Grecia, ma negli anni si sono sparpagliati lungo lo stivale, dalla Liguria, a Roma, con un grossa colonia fiorentina.
E non vi dico il guazzabuglio di accenti e di cucine alle riunioni di famiglia, che ti gira la testa se non entri subito in sintonia con il souq parentale.
Anche la frequentazione del capoluogo mediceo da quando i ricordi mi accompagnano ha aggiunto il tifo viola e un po' di toscanità a quello che sarebbe già uno zibaldone pronto e finito.
E ancora non basta.
Dove li mettete, infatti, i 38 anni suonati di frequentazioni salentine?
Con il sale di quel mare stampigliato a fuoco sulla pelle, gli odori, i muretti a secco, la terra rossa, gli ulivi, le paiare, le friselle, gli scogli, la sabbia fina e quella grossa.
E poi l'accento fiero di quel tacco orgoglioso, che comprendo e che mi sforzo di imitare. O i mattoni di pietra leccese, e le storie narrate dai Messapi ai giorni nostri e la pizzica che ti infervora d'estate nelle piazze di paesi, borghi e quartieri.
Senza dimenticare le lunghe frequentazioni, le amicizie e, più di tutti, il recente sole partenopeo, che si sono aggiunte armoniosamente alla fiera già presente.
Un bel rompicapo, non c'è che dire.
E dunque?
Dunque mi accorgo che le radici forse non le ho da nessuna parte, ma ancora di più che le ho in molti posti.
Forse significa che più dei luoghi, del cibo, della conformazione geografica del posto dove si nasce, si cresce, si vive, gli alberi del cuore e degli affetti mettono radici dove incontri le persone che ti fanno diventare quello che sei. Le loro facce, le parole, i silenzi, i vissuti insieme, i pezzi di vita che con loro condividi diventano la linfa che scorre dalle radici e arriva fino alla chioma, anche se adesso sono semi calvo.
E' come se durante quelle frequentazioni avessi posato un seme in quelle terre simboliche che amici, parenti, persone si portano appresso e oggi quella semina avesse generato un bosco di alberi, con radici sparse da Nord a Sud, dal Tirreno, allo Jonio, all'Adriatico passando per gli appennini.
Se ci penso il discorso fila.
E io sono emiliano, certo, ma anche salentino, calabro, partenopeo, fiorentino e chissà cos'altro ancora.

martedì 21 dicembre 2010

Sonno Natale

Eccolo dunque che si avvicina tra le nebbie e le nuvole grigie di quest'inverno insolito e freddo.
Il natale arriva da quella parte e passerà in un tempo veloce, troppo, per afferrare qualcosa di più di una fetta di panettone.
Mi chiedo cosa vogliano dire questi giorni strambi attesi per un anno. Cosa dovrebbe cambiare quando si è circondati da lucine, alberi agghindati, palle ferme e palle che girano?
Per quanto mi riguarda niente. Forse solo le ore di sonno che si allungheranno un po' rispetto alle notti brevi del resto dell'anno.
In fondo è già molto. Riposare la mente, il corpo e i pensieri aiuta a guardare dove si è arrivati e cosa resta ancora da fare.
Si, penso che mi regalerò questo: un cuscino accogliente e la quiete dell'inverno.
E se nevica, tanto meglio. Non avrò nemmeno bisogno delle catene.
Buon natale

Scrivi

Scrivi che non ti passa.
Scrivi e pensi, ma non se ne va.
Scrivi, cancelli, riscrivi e resta lì. Ti guarda da dentro e ti punge nel vivo, e fa male e non lo sopporti.
Scrivi e ti sposti su altro, ma sempre lì torni.
Scrivi e ti lasci andare, ma niente.
Scrivi che c'è anche altro, ma adesso non lo vedi.
Scrivi che non ha senso, non è naturale, eppure esiste e persiste.
Scrivi di quando se ne andrà quest'amarezza e vorresti che fosse il prima possibile.
Scrivi. E qualcosa passerà.

lunedì 1 novembre 2010

Germogli

Pesante non farsi sentire. Stare in una stanza ovattata e non udire nemmeno le proprie urla. Aprire la finestra e trovare mattoni anziché un panorama di campi o di mare. Correre e sudare e trovarsi sempre nello stesso posto.
Nemmeno quella parte di te razionale, concreta, sempre ragionevole che ti potrebbe dire di fermarti, di cambiare strada e registro si fa viva. E non sarebbe per nulla convincente adesso. Anzi, la sentirei noiosa e saccente. Oltre che troppo comoda.
Ora ascolto l'angolo di cielo che non voglio mai dimenticare, il campetto da calcio di quand'ero bambino, l'istinto attento che coglie odori, sfumature, anche quelle più impercettibili. E' fatica, a volte. Ma chi me lo fa fare di perdere lo stupore, la gioia di costruire, la meraviglia di vedere un germoglio che cresce e di sapere che un giorno le potrò finalmente regalare un fiore?

Ora slegale

Oggi fa presto buio pesto. E' da ieri che le lancette sono rientrate all'ovile, seguendo il corso naturale della luce del sole.
Il risultato è che la penombra fa capolino già dalle quattro del pomeriggio, specie se piove fitto e noioso come oggi.
Mi ha sempre intrigato l'ora legale. Quello spostare indietro (o avanti) l'orologio, cancellando o aggiungendo arbitrariamente un'ora che non c'è.
Cosa succede in quell'ora? I treni partiti alle 02:58 e che fanno un tragitto breve arrivano prima di quando sono partiti? Così gli aerei? E non è che scompare quello che ho fatto dalle due alle tre?
E se ho conosciuto, visto, incontrato una persona, sarà fantasma o realtà?
Sono i pensieri che arrivano ogni sei mesi. E che se ne vanno pochi giorni dopo.
Intanto un'altra ora è passata.

sabato 16 ottobre 2010

Piove, senti come piove

Oggi è la pioggia sul tetto di casa a farmi compagnia. L'unico rumore che avverto, l'unico segnale di attività al di fuori di qui.
Oggi dovrei essere dispiaciuto di essere melanconico. E invece un po' mi crogiolo in questo sentore, lo cullo come un segno di vitalità.
Quei brividi di spleen che mi corrono ogni tanto lungo la schiena riattivano sensibilità dimenticate, raccontano lo stato d'animo e lo mettono a nudo. E' come una radiografia senza effetti collaterali, uno specchio a infrarossi che descrive la condizione che sto vivendo. Uno strumento utile e gentile, anche quando tornerà il sole.

martedì 10 agosto 2010

Tempi moderni

L’amore moderno ha poco tempo. Corre. Contempla tutto il resto e si deve incastrare con esso. E’ una porzione, sottile, di una torta molto più grande.
Deve combaciare: con le convenzioni, coi doveri, con i piaceri, con tutto il resto. Che si adatti, questo amore, alla vita vera, che il tempo e le energie sono beni preziosi.
C’è un binario anche per l’amore, nelle vite moderne. Un percorso prestabilito, velocità controllate e soste programmate. Mai troppo forte, mai troppo piano, che si rischiano ferite, dolori e sofferenze mai ripagate e senza assicurazione.
L’amore ai tempi del frastuono deve alzare la voce, adeguarsi al volume, mostrarsi per quello che non è. Salvo poi nascondersi se non risponde alle attese e alle regole fissate da altri.
Il treno è partito, corre veloce, forse si schianterà.
Io preferisco non salirci nemmeno.
Vado a piedi.

lunedì 2 agosto 2010

Buone vacanze vacanti

Buone vacanze a voi, sparuti lettori.
Buone vacanze che anche se un po' le ho già fatte, sono quelle d'agosto le più vacanti che ci siano.
Buone vacanze da questi affanni, dalle fatiche di tutto l'anno.
Buone vacanze perché per me lo saranno veramente, con un palpitare nuovo ad accompagnare le onde dello Jonio, gli ulivi e il cielo del Sud.
Buone vacanze, dunque, che per ritornare si fa sempre in tempo e chissà cosa ci attende una volta a casa.

lunedì 26 luglio 2010

Fìdati

Fidati dell'anima.
Fidati dei battiti giusti.
Ascoltali anche quando tutto intorno sembra voler dire il contrario.
E stai sicuro che quello che hanno in serbo per te saprà regalarti una vita nuova, una luna piena da inseguire dietro le nuvole, una notte di respiri e di tuoni potenti.
Sarà dolce il risveglio.
Sarà come il rumore di un petalo che smuove l'aria intorno a se.

lunedì 19 luglio 2010

Terra bruciata, terra feconda

Ci sono momenti in cui gesti e parole sembrano mettere fine al tutto. Attimi di totale sbandamento in cui il baratro sembra ad un passo. E' lì che una forza misteriosa li muta in qualcosa di opposto, in un nuovo inizio.
Oggi è uno di quei momenti. La percezione è proprio quella. Una conferma di quanto sia forte questo sentimento nuovo. Le parole, davvero, in questo caso servono a poco.
Quella forza bruta, quei conflitti asprissimi sono il segnale di un impegno dell'anima e del cuore, di una dedizione a una vicenda che è già nata e che dimostra basi solide e profonde. Sennò si spiegherebbe ben poco di tanto "accanimento" reciproco.
In questo turbine ci voglio stare tutto. Ficcarmici ancora di più.
Averlo capito è già qualcosa. Gli errori e le ingenuità sono almeno serviti a comprenderlo fino in fondo.
Per questo non cesserò di sostenere questo progetto.
E se non sarà così, averci provato con tutto me stesso vorrà dire avere vissuto, comunque, una cosa bella.

giovedì 1 luglio 2010

Attenzione, svolta fruttuosa

In questi giorno espiro e inspiro salsedine, corro e sudo costeggiando il litorale dell'Ogliastra, gioco con il cucciolo e lo vedo crescere sotto i gabbiani curiosi che ci sfrecciano sopra.
E sento che una svolta è già avvenuta. Che la vita come è stata fino ad ora cambia sotto i miei piedi e, in fondo, non aspettavo altro.
Una consapevolezza che si è affacciata chiara l'altra sera sulla banchina di Livorno, intrisa di cherosene e mare, mentre il traghetto attraccava per il nuovo carico di ferro, gomme, persone e stress. E' stato un attimo, ma in quei pochi secondi ho avuto chiaro che il passaggio era già realtà.
Si cresce anche a questa età, pare. Si sceglie di cambiare, si sente che è inevitabile farlo. E di cominciare a camminare per un sentiero nuovo.
Non servono tante parole. Ci puoi riflettere fino a sfinirti, ma la ragione è che deve accadere in quel momento. Nè prima, nè dopo.
E sarà bello se questo coinciderà con un raggio nuovo che traccia il cammino. Sarà bello e tenerissimo, credo.
E se invece la guida si ritrarrà da subito, vorrà dire che sarà più faticoso trovare la strada, ma la meta, alla fine, sarà raggiunta comunque.

Buone vacanze

venerdì 5 febbraio 2010

Born to Run

Correre a 40 anni aiuta a capire come vivere quest'età.
Impari a dosare le energie, a risparmiare quando devi e a spingere quando puoi.
Capisci il senso dell'esperienza, conosci il tuo corpo, i tuoi limiti, le tue poche potenzialità ancora inespresse.
Certo, a 20 corri più veloce, ma non è detto che tu vada più lontano. Divori la strada, la bruci sotto la spinta dell'impeto giovanile, parti forte, ma ti fermi presto.
A 40 non è così. Questi pochi mesi di ritrovata attività fisica mi hanno insegnato quanto sia fondamentale partire piano.
Ascoltare meglio cosa si muove dentro per capire quando aumentare un po' e dove fare attenzione.
Sarà che il fondo, ma neanche il mezzo, sono mai state mie specialità, ma oggi mi scopro più paziente.
Paziente con me stesso e con il peso che certi sforzi richiedono.
Tollerante con l'istinto di partire a schioppettata e gustare tutto e subito.
Quando corri nella campagna emiliana e, come l'altra sera, avvolto nel freddo birichino il rosa scuro del tramonto d'inverno colora la neve dei campi, senti che il battito va alla giusta velocità, i pensieri si allineano a quel ritmo e tutto diventa un po' più chiaro.
L'importante è seguire il percorso, l'itinerario tracciato dall'età, dall'esperienza, dalla vita che sta alle spalle.
E allora, anche la strada più lunga, non lo sarà mai abbastanza per non arrivare in fondo.

lunedì 25 gennaio 2010

Nostalgia di Pier

Quanto mi manca di questi tempi Pier Vittorio Tondelli.
Non c'è un motivo particolare. Vorrei solo che quel satanasso da Correggio fosse ancora con noi e che in questi vent'anni avesse potuto scrivere ancora tanto.
Purtroppo non è così e allora riscopro i suoi testi, che mi hanno segnato come forse nessun altro scrittore. Cerco di assaporarne i toni, annusarne i profumi forti, immaginare com'erano i luoghi di Pier e come sono diventati.
Perché il giovane Tondelli avrà anche vissuto tra Milano, Firenze, Bologna, New York e Berlino, ma senza dubbio alcuno resta uno scrittore delle nostre parti, nel senso più nobile.
C'era in lui l'Emilia più bella, le nebbie che solo chi abita qui può amare e non detestare, gli aneliti di fuga che però finivano sempre tra il Po e l'Appennino o al massimo in Riviera.
Pier ci ha insegnato come siamo da queste parti, o perlomeno com'era la gioventù di quegli anni tra la via Emilia e il West.
Poi, certo, ha parlato anche a tutto il resto del mondo, ma le corde che ha smosso qui da noi vibrano ancora.
Ci manchi, Tondelli.