mercoledì 5 agosto 2009

Un terremotato politico

E' che sto leggendo "Qualcuno era comunista" di Luca Telese.
E in quelle pagine riafforano tanti, ma tanti di quei ricordi, spezzoni, pezzetti, memorie, facce e pianti che una luce si riaccende e ti metti a pensare.
Come è stato possibile che in poco più di dieci anni tutte quelle passioni, spinte ideali, pensieri belli, profondi e sofferti siano finiti nel cesso?
E come si fa a resistere allo scempio di oggi, con uno che parla di bocciofile e con un'altra iscritta all'opus dei?
Ho provato a leggere le "piattaforme programmatiche" dei candidati alla segreteria del piddì. Anche di quelli regionali (solo dell'Emilia-Romagna, in realtà. C'è un limite anche al masochismo).
In fondo, dipende ancora dal piddì la remota possibilità di mandare a casa il nano di arcore.
E la scelta del leader condiziona il modo e il metodo con cui si fa (o si torna a fare) opposizione. Anche a chi non lo vota, deve interessare il destino di questo oggetto.
Bè, quelle "tesi" non sono nemmeno riuscito a finirle. La fuffa regna incontrastata. Nessuna indicazione concreta, ma nemmeno una qualche analisi seria. E tantomeno una critica precisa. Forse Ignazio Marino ha messo in fila qualche punto comprensibile, ma è ancora poco, troppo poco.

Rimuginando ancora, però, ho capito cosa mi provoca tanto disagio.
In realtà, nel 1991 io sono stato vittima di un terremoto. Tra l'altro, voluto anche da me (ero per il sì).
Questo sisma ha raso al suolo la mia prima casa: quella dove avevo cominciato, sul girello della fgci, a imparare a camminare nel mondo periglioso della politica.
Poi cresci, e un po' come quando torni nelle classi delle elementari da grande, ti sembra tutto stretto e piccolo.
Allora ti convinci che è giusto cambiare. Giù il muro di qua, apriamo il salone di là... Poi, per evitare pastrocchi, giù la casa e la si rifà nuova.
E qui comincia il dramma: architetti contro ingegneri, elettricisti contro idraulici, piastrellisti contro imbianchini. Tanto che la casa non risorge se non dopo tanto tempo, ma invetabilmente sgangherata e pericolante, ancora da finire.
Per paura che qualcosa crolli ti accasi in una tenda.
Lo sai che la tua vera casa è quell'altra, ma adesso, così come sta, non è abitabile.
E attendi.
Riassetti la tenda e fai amicizia con i compagni/colleghi di quella che ormai è diventata una tendopoli (senza bertolaso, però).
Ogni tanto passi al cantiere, ma vedi che il muro, fino ai ieri a buon punto, oggi è la metà. L'idraulico non ha gradito l'opera del muratore.
Passano le stagioni, la tenda regge. Non è una casa, ma regge.
A volte sembra pure confortevole, se non fosse proprio questo il vero dramma.
Senza una casa con tutti i crismi finisci per l'accontentarti. Ti adatti. Abbassi il tiro e le pretese.
Ma perdi anche l'entusiasmo, insieme al ricordo di com'era e di come sarebbe potuta essere.
Non vuoi la casa di una volta. Con le stesse mura e le medesime stanze.
Ma è l'idea di casa che ti manca, il calore di quelle mura, la passione che attraversa i luoghi.
E' così difficile da capire?
O basta solo cambiare il direttore lavori?