
Ho avuto la fortuna di fare le vacanze sia di qua che di là.
Nel Salento dal 1972 ad oggi (avevo tre anni la prima volta), in Sardegna solo dal 2003.
Sono cresciuto l’estate con il profumo delle piante secche e del finocchio selvatico, tra le forme mostruose degli ulivi di notte e l’ingegneria stupefacente dei muretti a secco.
Poi, dopo i trenta, ho passato anche il Tirreno.
E ho visto un mare turchese, granito rosa e sabbia d’avorio. Mi sono bagnato guardando la Corsica ad un passo, Budelli a poche bracciate e la Maddalena che spuntava da dietro l’insenatura.
La bellezza si è data appuntamento qui, dicevo, ma il cuore non si scaldava.
Forse sono i mattoni troppo recenti. Forse è l’ordine milanese che in pochi anni ha messo in fila casette, appartamenti e bungalow.
Forse è l’asettica disciplina del turismo moderno e trendy.
Ho visto anche Porto Cervo e sono passato per Porto Rotondo. Ho visto gli yatch ormeggiati e i pavoni che si beavano. Qualcosa non mi tornava.
Per questo, alla fine, torno a Salento (vidi ‘o mare quant’è bello pure qui…). Perché di bellezze fredde ce ne sono anche troppe tutti i giorni.
Ma qualcosa che ti scalda il petto, ti porta su e ti ricorda quando eri bambino è davvero difficile da trovare.
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