mercoledì 24 giugno 2009

Il pallone e l'acqua fresca

Oggi dalla finestra dell'ufficio ho visto quattro bambini giocare a pallone nel cortile di sotto.
Come in ogni disfida pallonara d'infanzia che si rispetti c'era quello più grande e corpulento, il mingherlino sgusciante e dribblomane, il medio relegato in porta tra le due colonne del porticato e il proprietario del pallone un po' sgonfio che spadroneggiava.
Una scena che 50 anni fa, si fosse svolta a Palermo, Bari, Roma o Torino non sarebbe stata molto diversa. Forse solo un po' più polverosa.
La pausa d'ufficio si è così fatta più lunga per osservarli giocare al tramonto.
E' inutile: ti possono raccontare dei 93 milioni per Cristiano Ronaldo, dei vomitevoli capricci di Ibrahimovic, dei diritti televisivi e di calciopoli: nulla rovina la bellezza di correre dietro a un pallone.
La palla presa a calci resta il gioco più bello. I bimbi ti possono chiedere nintendo, playstation, trasformers, skifidol e altre plasticate, ma se devono scegliere non resistono al pallone e agli amici/avversari.
Poco importa se non c'è l'erba, la porta regolamentare, le righe e le divise. Il calcio è il pallone: tutto il resto è il contorno.
Alle medie ho cominciato ad allenarmi in una squadra della mia città, l'Ac Cibeno. Avevamo ancora le divise di lana grossa o acrilico, non saprei dire dopo tutti quei lavaggi, ma di certo grattavano peggio dei mutandoni di Super Pippo.
Ricordo l'emozione di firmare il "cartellino", l'atto ufficiale d'ingresso nella "squadra".
E poi la borsa blu con la scritta bianca, senza tasche o menate; le trasferte a Sorbara, Solara, Sozzigalli, Rovereto, Ravarino, Camposanto, San Possidonio sulla macchina del mister o di genitori/accompagnatori.
Il primo gol in una partita ufficiale con il numero 7 (ala destra) a Limidi: discesa sulla destra e botta ad incrociare sul palo lontano: portiere battuto.
O le partitelle d'estate che alla fine (ma anche a metà) di attaccavi alla cannella d'acqua sempre fresca, nonostante i 35° gradi e l'umidità assassina.
Più di tutto, però, ricordo gli allenamenti d'inverno. Correre e giocare nella nebbia, al freddo, sotto la pioggia non era problema, anzi. Ti godevi di più la doccia calda alla fine; un'estasi che rinfrancava ogni centimetro quadrato di pelle e di muscoli.
E poi il ritorno a casa in bici, coi capelli ancora un po' umidi che-invece-te-li-devi-asciugare-sennò-ti-prendi-del-male... Dimensione carattere
E il dopo cena, lo stravacco sul divano con le gambe un po' dolenti e il sonno che arrivava piano piano e saliva con premura...
L'altro giorno sono ripassato per caso da via Genova.
Il mio campo non c'è più: metà dello spazio se l'è preso il circolo ricreativo con bocce, verande e attrazioni varie. L'altra metà è diventato un parco pubblico con le giostrine, le panchine e le aiuole d'ordinanza.
Meglio così di un parcheggio o di una lottizzazione per condomini o villette monofamiliari.
Però mi sarebbe piaciuto vedere un cinno che fermava la partita, correva a dissetarsi dal tubo di gomma e ritornava in campo asciugandosi la bocca con il braccio...

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